3 nomi e una storiella sono tutto quello che ho da offrire per trattare l’argomento. Ma andiamo con ordine e cerchiamo prima di definirlo, questo argomento, che quasi fa paura a pronunciarlo.
Desiderio. Lo cerco su internet e Google mi dice:
Sentimento di ricerca appassionata o di attesa del possesso, del conseguimento o dell’attuazione di quanto è sentito confacente alle proprie esigenze o ai propri gusti.
Se stiamo cantando assieme alla bella Cinderella “I sogni son desideri” nulla può turbarci, ma se isoliamo questa parola e la teniamo sola in tutta la sua purezza, allora facciamo fatica a dirla ad alta voce senza pensare di doverci poi sciacquare la bocca. In realtà tutti noi desideriamo, costantemente. Quando abbiamo bisogno di qualunque cosa, noi stiamo desiderando, per definizione. Dunque anche i nostri bisogni primari, cioè quelli vitali che devono essere soddisfatti per la sopravvivenza dell’organismo, sono desideri. E credo che nessuno possa sostenere che ci sia qualcosa di male nell’avere fame o nel sentire l’urgenza di depurarsi. O forse sì? Effettivamente molto spesso ci si vergogna della pancia che brontola all’improvviso o di tappe prolungate al bagno, perché l’etichetta ci dice che “non sta bene”. Ma di fatto, a chi è che non sta bene e perché? Lasciando all’etichetta il beneficio del dubbio, proseguiamo con le nostre elucubrazioni sul Desiderio.
Secondo gli accreditati studi culinari di mia nonna, se in un certo periodo si desidera fortemente mangiare qualcosa in particolare, come ad esempio una bella tavoletta di cioccolato, significa che il nostro organismo in quel momento necessita di quell’oggetto che noi stiamo desiderando, ovvero, in questo caso, del cioccolato. Quello che poteva sembrare un capriccio dettato dalla golosità è diventato esigenza di prim’ordine, che deve essere soddisfatta per il corretto funzionamento del nostro sistema. Pare perciò che il desiderio non dipenda tanto dalla mente umana, quanto piuttosto da una forza superiore, che ci guida e, quasi fosse un allarme interno, ci ricorda di stare connessi e presenti. E’ la natura che ci parla.
Ecco allora che sono arrivata a snocciolare il primo nome: Bert Hellinger.
In the desire of the flesh there hides a higher reason and burns a deeper meaning, such as to dull rationality and overwhelm the will.
Desire is closer to the Heart of life, more faithful, more long-lived. It is the meat that commands desire.
I say, the Spirit is strong, but the flesh is wise.
Hellinger parla di una ragione più grande, che supera quella umana, un significato più profondo, che essa non può cogliere. Siamo molto più vicini alla verità quando abbandoniamo gli schemi razionali della mente e ascoltiamo la pancia, ovvero quando desideriamo. Del resto credo che la citazione si spieghi da sola. “Lo Spirito è forte, ma la Carne è saggia”.
Che poi questa verità profonda della Natura e degli istinti sia buona e amabile o ostile e crudele è un altro discorso ancora. E’ chiaro però che essa non sia facilmente accettabile per l’umanità, che dai primordi ha tentato di stemperarla imponendosi le proprie regole razionali. Invano, oserei dire. La storia ci ha mostrato come la crudeltà dell’uomo sia stata ben capace di superare quella della Natura, proprio nel tentativo deleterio di soffocare l’istinto con la ragione. E allora è arrivato il momento di giocarmi il secondo nome di stasera.
Marvin Gaye, 25 Giugno 1973, “Let’s get it on”.
You don’t have to worry that it’s wrong (ooh, ooh)
If the spirit moves ya (ooh, ooh)
Tandem ubi se erupit nervis coniecta cupido,
parva fit ardoris violenti pausa parumper.
Inde redit rabies eadem et furor ille revisit,
cum sibi quid cupiant ipsi contingere quaerunt,
nec reperire malum id possunt quae machina vincat:
usque adeo incerti tabescunt volnere caeco
Infine, quando il desiderio costretto nei nervi ha trovato sfogo,
per poco segue una piccola pausa dell’ardore violento.
Poi torna la medesima rabbia, e di nuovo li invade quel furore,
quando essi stessi vorrebbero sapere che cosa bramano ottenere,
né sono in grado di trovare che mezzo possa vincere quel male:
in tanta incertezza si consumano per una piaga nascosta.
Oh, get it on
If you want to love me just let yourself go
Lucrezio, De rerum natura IV, vv. 1115-1120.
In questi versi Lucrezio ci parla della potenza distruttiva dell’eros, considerato come “dira cupido”, ovvero desiderio feroce e straziante. Non si fa fatica a crederlo, essendo l’eros amore insieme di anima e corpo e costituendo perciò l’esempio più eclatante di Desiderio. Come scrive Platone nel Simposio, Eros è figlio di Penia e Poros, povero e infido, continuamente alla ricerca di ciò che sempre gli mancherà. Desiderare significa proprio questo: accettare una condanna di perenne insoddisfazione, alla ricerca di una completezza che mai sarà raggiunta. Ma solo affrontando il tormento del desiderio possiamo dire di esserci davvero impegnati in quella che chiamano “ricerca della felicità”.
Concludo esaurendo anche l’ultima risorsa rimasta, ovvero la storiella de “Il pesce nell’Oceano”.
Un pesciolino cercava l’oceano e chiedeva informazioni a chiunque incontrasse. “Scusate”, diceva, “sto cercando l’oceano, sapete dirmi dove posso trovarlo?”. Ma pareva che nessuno lo sapesse.Finalmente un giorno incontrò un pesce più anziano e saggio che gli rispose:“Certo che so dov’è l’oceano”.“Dove, dove?”, chiese ansiosamente il pesciolino. “Ma non vedi? L’oceano è qui,intorno a te. Ci stai nuotando dentro.”Ma la risposta non convinse il pesciolino: “Questo non è l’oceano. E’ solo acqua”. Disse fra sé, e nuotò in un’altra direzione alla ricerca di una diversa, più soddisfacente risposta.
Sono convinta che questo racconto abbia molto più significato se tenuto integro nella sua forma naturale, senza l’aggiunta di spiegazioni esplicite, che limiterebbero tutte le sue potenzialità espressive. Ad ogni modo, per tirare le fila del mio discorso, ho bisogno di darne una mia interpretazione. Posto che il Desiderio è la forza che ci spinge a cercare un oggetto sempre mancante, e che la conquista di questo oggetto sia identificabile con la felicità, ci possiamo ricollegare all’idea di Lucrezio concludendo che la felicità non potrà mai essere raggiunta. E allora diventa quasi più importante quella che è la “preparazione alla felicità”, cioè l’atto del desiderare, che noi viviamo con trasporto e dedizione, piuttosto che la felicità stessa, per sempre irraggiungibile. Ciò che ci rimane alla fine del viaggio, quindi dopo la conquista difettosa del nostro oggetto, è la sensazione di averla sfiorata per un istante praticamente inesistente e di essere riusciti in quell’attimo a cogliere la cosiddetta “Bellezza collaterale”, in unione armoniosa con il Tutto.