Wannabe

Wannabe delle Spice Girls risuona dalle casse del mio Van a tutto volume, mentre imbocco l’autostrada. Canto a squarciagola il ritornello che mi martella nella testa. Qualcosa dietro di me cade da una mensola facendo rumore e catturando la mia attenzione. Mi rigiro a guardare la strada dritta davanti a me quando il mio cellulare squilla: sarà sicuramente mia madre che vorrà sapere se ho deciso la mia prossima meta. Metto giù la chiamata senza rispondere e riprendo a cantare.
Sono ormai tre giorni che sono in viaggio, tre giorni dal momento in cui ho abbandonato tutto e sono partita. Ho abbandonato la mia famiglia, l’Università, la mia casa in affitto, tutto. Non l’avevo fatto con leggerezza, ma ogni fibra del mio corpo mi diceva che era ora di reagire, era ora di abbandonare la monotonia e partire, e così ho fatto. Quando lo dissi ai miei genitori, loro mi guardarono con sguardo di disapprovazione, aggrottando la fronte e riducendo gli occhi a una fessura mi dissero “va bè… se è quello che desideri…”. So che non approvano questa mia scelta, ma quel giorno avevano detto bene: è quello che desidero.
Così ho comprato un Van usato e in un mese l’ho attrezzato e sistemato e sono partita.
Non ho mai una meta: giro a destra quando voglio girare a destra e a sinistra quando mi va di girare a sinistra, vado solo dove mi porta l’istinto.
Ora sono sull’autostrada A22; il mio istinto mi porta al Nord. Voglio rivedere la montagna: i suoi morbidi prati, le aguzze vette delle Dolomiti, i panorami sconfinati e gli stretti sentieri. Voglio dormire in un bivacco e arrivare in cima a un monte per urlare verso il nulla. Voglio sentire il peso dello zaino e il dolore ai piedi. Voglio sentire la fatica e la soddisfazione una volta arrivata alla meta.
Quando finiscono le Spice Girls è il turno degli Eagles con Love will keep us alive. Canto anche questa canzone trasportata dal suo romanticismo e proseguo il viaggio sulle note di una lunga playlist, che scandisce il tempo.

Arrivo vicino al confine con l’Austria dopo tre ore di viaggio, e parcheggio il camper in un piccolo spazio all’imbocco di un sentiero. Scesa dal Van mi avvicino al cartello: “Bivacco degli Esposti, 2300 mt 5 h”.
Guardo l’ora sono le 8:30 del mattino, se cammino con un buon passo potrei arrivare per pranzo. Risalgo sul Van, preparo lo zaino e l’attrezzatura e parto.
Il sentiero è stretto e malmesso sembra che sia da molto che qualcuno non viene a sistemare.

Ricordo di aver letto in un libro che ci sono tre zone della montagna e a seconda della zona che più ti piace hai una personalità diversa. La prima zona è quella del bosco, inondata di sempreverdi, è dove nascono i frutti di bosco, i funghi ed è ancora popolata da svariati animali. La seconda zona è quella dove c’è la bassa vegetazione, piccoli arbusti e licheni e qualche animaletto che scorrazza qua e là. La terza è quella dell’alta quota dove le piante lasciano il posto alle aspre rocce e si vede solo qualche animale temerario che si avventura nei piccoli spazi che la montagna crea.
Io adoro stare nella zona intermedia tra i piccoli arbusti e le marmotte, dove qualche piccola chiazza d’erba inizia a lasciare il posto all’aspra roccia.
Continuo a camminare in mezzo ad un bosco di faggi mentre il sentiero sale dolcemente. Il sentiero è morbido sotto i miei piedi per l’umidità che si è creata in quel intricata rete di rami.

Cammino per circa due ore quando, dopo una lunga salita, arrivo in una vastissima piana. L’erba è verdissima e il sole mi bacia il viso asciugandomi dall’umidità della foresta. Mi butto per terra stremata dalla prima salita; chiudo gli occhi e sorrido. Dopo essermi mangiata un pezzo di cioccolata, riprendo a camminare. Il sentiero ora sale ripido, la morbida terra pian piano lascia il posto ai sassi che scivolano sotto i miei scarponi.
Sono circa le 2 e mezza del pomeriggio quando raggiungo il bivacco. È una piccola casetta con un’unica finestra sul fondo, ci sono due letti a castello sulle due pareti e in un angolo c’è un piccolo armadietto. Al suo interno ci sono qualche scatoletta di fagioli e una scatola di metallo. Prendo la scatola e aprendola ci trovo dentro il timbro del bivacco e un libro. Lo apro, dentro ogni persona che è passata di lì ha lasciato un segno, un pensiero… sfoglio quelle pagine con cura come stessi maneggiando un antico manufatto.
Esco fuori e mi siedo su una roccia per continuare a leggere quelle pagine così leggere e dense di pensieri. In una pagina qualcuno ha scritto il canto notturno del viandante di Goethe, qualcun altro la preghiera dell’alpino, uno invece ha scritto una sua poesia.
Voglio farlo anche io, voglio mettere su carta tutti quei pensieri che mi frullano per la testa.. Così prendo la penna che era nella scatola e inizio a scrivere.

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