L’uomo nato schiavo desidera la libertà? E l’uccellino allevato in gabbia sogna di volare via? Io conosco solo la mia vita, come gli altri me l’hanno data. Come posso sapere che c’è altro? Come posso desiderare qualcosa di più? I bambini imparano copiando gli adulti, quindi io dovrei sforzarmi a copiare chi di desideri ne ha, a volte anche troppi. Potrei quasi prenderne qualcuno in prestito. Non sarebbe come rubare, piuttosto un’equa ridistribuzione dei beni. Molti capirebbero. Io non capirei, invece. Proprio io. Dovrei pensarci da sola. Farina del mio sacco, insomma. Ma le quattro mura che mi imprigionano sono tutto il mio mondo. Non conosco quello che si cela oltre al luogo dove sono stata posta. Se non ci fosse altro? O se ci fosse ma non fosse meglio? Se fosse addirittura peggio? Mi dicono che sarò in grado di ottenere tutto quello che vorrò ma nessuno mi dice cosa volere. Nessuno mi ha insegnato a desiderare, a sognare, a nessuno è mai venuto in mente che forse mi sarebbe servito. E ora non so che fare. Come ottenere qualcosa che non so che esiste? Come lottare per una vita che non sento mia? Invece di abbattere il muro intorno a me, lo intonaco di bianco e riparo le crepe. E tutti quelli intorno a me mi porgono martelli ma io li trasformo in pennelli e mi dipingo intorno tutto quello che so, tutto quello che ho già vissuto. Crolleranno lo stesso, questi muri, se mi impegnerò per mantenerli in piedi? Sono l’unica stabilità che mi resta. Vedo persone come me che mattone dopo mattone li demoliscono e si buttano nel futuro. Ma io non so che farmene del futuro. Il passato mi dà certezze, il presente mi dà la vita, ma il futuro a cosa serve? Non posso conoscerlo e lo sappiamo tutti. Eppure dovrei programmarlo, lo so. Non ho bisogno che qualcuno me lo ricordi, basto io. Ma se la mia mente sa cosa deve fare, il mio cuore non sa come farlo. Ritorniamo sempre lì: cosa desiderare, cosa sognare? Come si può desiderare l’ignoto, sognare l’imprevedibile? È forse per paura del fallimento che non lo faccio. O forse perché servirebbero troppe energie che non ho. Forse è solo perché non ho imparato abbastanza per poter sognare. Eppure un tempo ci riuscivo, sempre, senza fatica. La mia lista dei desideri era lunga quattro pagine, quattro facciate riempite di inchiostro per ipotizzare una minima parte di quello che avrei potuto volere e che volevo. Due cani, tre gatti e un ippogrifo. Una laurea in giurisprudenza, una in teologia e una in arti magiche. Un brevetto da pilota e una barca a vela. Una pasticceria, un hotel e un ristorante. Una villa in campagna, una al mare e una ai piedi dell’arcobaleno. Sette figli, o forse ne bastava uno. Quanti viaggi? Uno all’anno, o erano mille? Non ricordo. Ma gli animali sono impegnativi, laurearsi richiede tempo, le attività sono difficili da gestire, le case costano, i figli sono un peso, i viaggi una perdita di tempo. O no? È il mio scetticismo che parla, o quello del mondo? La mia lista dei desideri era lunga quattro pagine. Ora quanto è lunga quella lista? Penso abbia un solo punto: vorrei saper volere.